WhatsApp, oggi i nuovi termini di utilizzo entrano in vigore: cosa cambia e cosa c’è da sapere
Chi non accetterà le regole di WhatsApp verrà gradualmente impossibilitato ad accedere alle sue funzioni. Menlo Park: in Europa l’aggiornamento non comporterà (quasi) nessuna modifica della privacy, I Garanti non sembrano dello stesso parere
Naturalmente chi ha già accettato le nuove condizioni d’uso potrà continuare a utilizzare il servizio senza alcuna limitazione. Chi invece negherà ancora il via libera si vedrà ridurre l’accesso a numerose funzionalità chiave. Più nel dettaglio, come spiega il sito ufficiale di WhatsApp, «non potrai accedere all’elenco delle chat, tuttavia potrai rispondere alle chiamate e alle videochiamate in arrivo. Se hai abilitato le notifiche, potrai toccarle per leggere o rispondere ai messaggi, o richiamare in caso di chiamata o videochiamata persa». Infine, «dopo alcune settimane con funzionalità limitate, non potrai ricevere chiamate in arrivo o notifiche e WhatsApp interromperà l’invio di messaggi e chiamate al tuo telefono». Alla lunga l’applicazione diventerà dunque inutile. Rispetto a quanto inizialmente previsto, interessante comunque notare come non sia prevista l’eliminazione dell’account: l’utente avrà sempre la possibilità di cambiare idea e tornare a fruire dell’applicazione completa tramite un promemoria permanente.
Delineati i possibili scenari, la domanda di fondo è: davvero, come sostiene WhatsApp, le uniche modifiche saranno legate agli account Business? «Non ho né strumenti né motivi per credere che ciò non sia vero – dichiara l’avvocato Ivan Rotunno, special counsel dello Studio Orrick ed esperto in materia di privacy e questioni regolatorie del web –. Ma allo stesso tempo mi aspetto una presa di posizione dell’Edpb che indichi le linee guida all’interno delle quali si dovrebbe muovere il servizio e una serie di ispezioni da parte dei singoli Garanti nazionali. D’altronde perplessità in merito agli elementi normativi delle nuove condizioni d’uso sono state sollevate un po’ ovunque da gennaio a oggi: dall’Australia alle Filippine, dall’India al Brasile, dalla California all’Irlanda, fino naturalmente all’Italia e al commissario di Amburgo appena qualche giorno fa». Inevitabile, se si pensa alla scarsa chiarezza del testo: «Eppure la mancanza di trasparenza comporta già di per sé la violazione del Gdpr (il regolamento europeo sulla protezione dei dati del 2018, ndr) – puntualizza l’avvocato Diego Dimalta, esperto in diritto delle nuove tecnologie e co-founder di Privacy Network –. Ci sono diverse pagine del blog ufficiale che servono a spiegare cosa sta succedendo, ma sono davvero difficili da capire: tutto è generico e vago. C’è scritto che il nuovo consenso serve a permettere a WhatsApp di avviare servizi Business che aiuteranno le aziende a interagire meglio con gli utenti, ma non spiega esattamente in cosa consistano. Solo tra le righe si intuisce che il nuovo consenso servirà probabilmente alle aziende per utilizzare i messaggi ricevuti dagli utenti a scopo commerciale, ma nulla di più. E i passaggi contraddittori non mancano, come segnalato dal commissario di Amburgo».
Altro tema che sembra presentare qualche criticità, quello legato alla legittimità del consenso fornito a WhatsApp dagli utenti, che Rotunno definisce «forzato» e «non libero a tutti gli effetti». Come già visto, infatti, chi non accetta i nuovi termini è destinato a non poter più usufruire delle funzionalità della piattaforma. Non a caso, come descritto qui, dalla nuova versione è completamente sparito il passaggio in cui si specificava che gli utenti «possono scegliere di non condividere le informazioni del proprio account WhatsApp con Facebook per migliorare le proprie esperienze con le inserzioni e i prodotti di Facebook». Eppure «il Gdpr parla chiaro e impone un consenso libero», afferma il legale. Della serie: quando entra in gioco il diritto degli utenti alla protezione dei dati personali – che Rotunno ricorda avere rilievo costituzionale in quanto riconosciuto dalla Convenzione di Strasburgo del 1981 –, le società che operano in Ue non hanno la libertà di stabilire le regole del gioco a proprio piacimento. A ribadire il concetto è anche Dimalta: «La condivisione delle informazioni con Facebook non può essere obbligatoria – spiega – e soprattutto non può essere connessa al consenso, perché quest’ultimo deve essere libero. E il solo consenso libero è quello che permette di usufruire del servizio principale anche se non si concede l’autorizzazione a un servizio supplementare (in questo caso quello relativo alle interazioni con gli account Business, ndr). Tutti i Garanti europei sono concordi su questo, e il commissario di Amburgo, da sempre molto attivo, sono convinto non farà cadere facilmente la questione».
C’è poi un terzo aspetto degno di nota. Anche ipotizzando che il consenso espresso dagli utenti sia valido, infatti, ciò «autorizzerebbe WhatsApp a effettuare il trattamento, ma non certo Facebook – afferma Dimalta –. Se Facebook ha intenzione di fare lo stesso, ha bisogno di un’altra base giuridica: dovrebbe chiedere direttamente il consenso agli interessati, non prenderlo da WhatsApp». Rotunno è dello stesso parere: «Scorrendo la nuova informativa sulla privacy si trova scritto che, quando si comunica via WhatsApp con un’attività commerciale, quest’ultima potrebbe trasferire a Facebook una serie di informazioni anche ulteriori rispetto al mero contenuto del messaggio, favorendo così un livello di profilazione più elevato. Agli utenti dovrebbe quindi essere data la possibilità di esprimere il proprio consenso non una volta sola, ma tante volte quante sono le finalità che poggiano sulla stessa base giuridica. Una reductio ad unum di tante attività di trattamento diverse rappresenta dunque senza dubbio una forzatura». Ma il problema potrebbe risiedere ancor più in profondità. Anche qualora richiesto nella maniera corretta, infatti, un simile trattamento da parte di Facebook potrebbe risultare illecito ai sensi dell’articolo 6 del Gdpr: «Facebook in questi mesi si è appellato al “legittimo interesse”, che però per essere tale richiede un bilanciamento tra i suoi interessi e quelli degli utenti – illustra ancora Rotunno –. L’autorità irlandese, incline alla linea morbida poiché Facebook ha stabilito a Dublino il suo quartier generale europeo, ha interpretato questo bilanciamento come “forse possibile”. Secondo il commissario di Amburgo invece il bilanciamento non sussisterebbe. Ecco: anche su questo punto mi aspetto un pronto intervento dell’Edpb che faccia chiarezza e propenda per una delle due interpretazioni». Se ne risentirà presto parlare.
Fonte: Corriere della Sera del 15/05/2021
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