Libertà di espressione, hate speech e violenza verbale: quali limiti ci sono nel digitale?
di Federica De Stefani, avvocato e responsabile Aidr Regione Lombardia
La libertà di espressione, fondamento imprescindibile di ogni ordinamento democratico, porta con sé, nel mondo digitale, una percezione sfumata dei limiti e dei vincoli alla quale la stessa deve essere sottoposta anche online.
Il linguaggio espressivo, infatti, se non correttamente utilizzato, può sfociare nell’offesa e nella violenza, soprattutto in un ambito come quello digitale dove ancor oggi si crede, erroneamente, nell’impunità delle azioni compiute.
Espressione massima di questo fenomeno è il c.d. hate speech, inteso come vero e proprio incitamento all’odio, in considerazione del fatto che il solo scopo del discorso è quello di esprimere odio e intolleranza verso una persona o un gruppo.
Il digitale, le nuove tecnologie e i social hanno senza ombra di dubbio alimentato il dibattito, le connessioni, lo scambio e, con essi, anche i fenomeni di hate speech, con offese che possono riguardare discriminazioni di vario genere, da quella razziale a quella religiosa, da quella politica a quella sportiva.
Può sembrare assurdo, ma gli episodi riguardano molti settori, eterogenei e molto diversi tra di loro, come quello sportivo e quello politico.
Tra gli ultimi episodi, dopo la vittoria della nazionale italiana contro quella spagnola agli europei di calcio, gli insulti e le minacce rivolte ad Alice Campello, moglie di Alvaro Morata, reo di aver segnato il goal del pareggio.
Il giocatore era già stato, tra l’altro, oggetto, insieme alla moglie e ai figli, di minacce di morte alcune settimane fa.
Se si analizzano i precedenti nell’ambito sportivo non si hanno notizie di iniziative giudiziarie intese a limitare questo fenomeno, diversamente, per esempio, da quanto fatto dall’ex Presidente della Camera Laura Boldrini che, a fronte di insulti e minacce inaccettabili ricevute sui social network, ha denunciato i propri haters, arrivando alle sentenze di condanna.
I primi studi in materia di hate speech nel mondo digitale sono stati pubblicati alla fine degli anni novanta negli Stati Uniti d’America e mettono in luce il potenziale illimitato dello strumento che viene utilizzato. Il web non ha alcun confine fisico o geografico, ha una diffusione globale e il contenuto condiviso può raggiungere contemporaneamente un numero illimitato di soggetti e, per questo, appare fin da subito come difendersi dall’hate speech sia difficile se, addirittura, non impossibile.
In questa visione le criticità sono determinate dallo stesso funzionamento della Rete, che consente di cancellare solo “apparentemente” dal web un contenuto, visto che la distruzione dello stesso, operazione che ne garantirebbe una eliminazione totale, è pressochè impossibile da ottenere.
Ulteriore elemento critico è l’impossibilità di un controllo preventivo dei contenuti che vengono postati online, controllo che, secondo alcuni criteri e secondo alcuni studi potrebbe, in futuro, essere ipotizzato con l’impiego dell’intelligenza artificiale.
Dal punto di vista giuridico esistono degli strumenti per la repressione di questo fenomeno?
La risposta non può che essere affermativa, ma si rientra in nell’ambito giudiziario che, per molti aspetti e per diverse motivazioni, è ritenuto incompatibile con il mondo online.
La diffusione e la persistenza del fenomeno in ambiti molto diversi tra di loro, ormai con una frequenza quotidiana e con una diffusione eterogenea tra le fasce d’età degli utenti, deve far riflettere non solo dal punto di vista giuridico, ma anche culturale.
L’impegno alla diffusione di una cultura che contrasti l’hate speech dovrebbe rappresentare la base di ogni azione rivolta alla cultura digitale, sia degli adulti sia dei giovani utenti.
Se si pensa, però, a quello che avviene per una partita di calcio, agli insulti e alle minacce che vengono riservate ai figli dei calciatori, si capisce che la cultura non può che essere un primo imprescindibile e irrinunciabile passo da fare, ma che la legislazione deve coadiuvare la lotta all’hate speech tenendo in considerazione le peculiarità di due mondi diversi e così connessi come quello normativo e quello digitale.
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