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Schiavi digitali

di Alessandro Capezzuoli funzionario ISTAT e responsabile osservatorio dati professioni e competenze Aidr

I grandi cambiamenti, nella storia dell’umanità, hanno causato spesso enormi discriminazioni e hanno creato fratture profonde tra coloro i quali erano pro e colori i quali erano contro. Basti pensare all’invenzione della carta e agli innumerevoli detrattori a favore del papiro, che, pur di non cedere alla novità, hanno rallentato di molti anni il processo di trasformazione, paventando pericoli inesistenti e iatture di ogni tipo nei confronti degli utilizzatori del nuovo. In generale, il progresso tende a creare una divisione netta tra i beneficiari dei suoi lati positivi e chi ne subisce le conseguenze negative. Il benessere di una parte della popolazione è sempre compensato dallo sfruttamento di chi, per contribuire al suddetto benessere (altrui), è costretto a subire varie forme di schiavitù, diverse nella forma ma uguali nella sostanza. Poiché l’egoismo è tra gli sport sport preferiti dagli esseri umani, lo sfruttamento del lavoro altrui, la sottomissione e le vessazioni degli individui vengono spesso tollerati (anche se sarebbe più corretto scrivere “ignorati”), quando c’è di mezzo un certo status quo da mantenere. Al centro di numerosi egoismi ci sono loro, le cose. E le cose, oggi, sono legate indissolubilmente ai servizi, un po’ come è legato il WC allo sciacquone.

La domanda da porsi, per capire meglio il modello di società che stiamo costruendo, è: “A cosa servono le cose, oggi?”. Domanda insidiosa, che si presta a milioni di risposte diverse, a cui proverò a rispondere, tentando di superare i pregiudizi rispetto al consumismo, che mi porterebbero a scrivere di getto “per raggiungere, attraverso il consumo, una felicità illusoria che dura il tempo di un prelievo al bancomat”. Le cose, in una società globalizzata e capitalista, non sono più associate ai fini pratici, al loro utilizzo, ma servono a dare un senso all’esistenza, a colmare vuoti, a creare appartenenza a gruppi elitari, a riempire di superficialità le insoddisfazioni e, perché no, le profonde carenze culturali in cui siamo sprofondati. Siamo continuamente alle prese con una bulimia da acquisto compulsivo che serve evidentemente a colmare una qualche mancanza. Non importa quale sia l’oggetto, non importa se serva e a cosa serva: l’importante è averlo. L’idea di “nuovo”, secondo me, serve per dare una infinitesima spinta vitale a vite sempre più spente  Non è sempre stato così, ovviamente, e per accorgersene basta guardare la vita condotta negli anni ‘70, quando gli oggetti erano fatti per durare come i progetti di vita. Non c’è nessun richiamo nostalgico in questa osservazione, si tratta di una considerazione che induce a riflettere sul ruolo delle cose nel progetto di vita dell’uomo moderno, sul legame oggetto-progetto. Diciamo che, richiamando alla memoria il buon Heidegger, gli esseri umani si distinguono dagli animali per un aspetto essenziale: la consapevolezza dell’essere attraverso l’esistenza. E l’esistenza è costituita dalle infinite possibilità di esserci, a cui ognuno dà forma attraverso un progetto di sé stesso. Sì, lo so, il concetto è un po’ difficile e anch’io mi sono dovuto rileggere due volte per capirmi meglio… In ogni caso, le cose, gli oggetti, più che un valore intrinseco, hanno il valore che gli viene attribuito dagli individui rispetto al proprio progetto esistenziale. Così, per qualcuno l’auto può essere un semplice mezzo di trasporto, per qualcun altro un simbolo da esibire per dimostrare il proprio status e per altri, i piloti, una componente fondamentale dell’esistenza. La digitalizzazione, seppur in un primo momento, con l’avvento dei primi telefoni cellulari, è stata anche sinonimo di status, adesso è diventata qualcos’altro. La digitalizzazione è essenziale per i progetti esistenziali. Lo smartphone  è diventato una presenza imprescindibile, un  surrogato della vita, un oggetto che sta sostituendo il progetto individuale heideggeriano: l’esserci, l’esistenza. La vita di un numero consistente di persone viene scandita dai ritmi digitali, che hanno creato un precedente probabilmente unico nella storia: gli oppressori sono diventati anche schiavi di loro stessi.

Ma andiamo avanti per gradi…

Pur essendo un sostenitore della digitalizzazione, e conoscendone bene le potenzialità (che ho ampiamente descritto in altri articoli), credo di averne sottovalutato le insidie: conoscerle, può aiutare a fare scelte più consapevoli. In pochi anni siamo passati da una socialità reale a una socialità virtuale, da un consumo reale, caratterizzato da un rapporto “fisico” con gli oggetti, a un consumo virtuale dalle possibilità illimitate. Rapporti umani e consumo sono diventati forme di schiavitù che coinvolgono contemporaneamente gli sfruttatori e gli sfruttati. E i dispositivi. ovviamente. La colpa, se di colpa si può parlare, è da attribuire non alla digitalizzazione ma alla sua applicazione, che ha accentuato i lati peggiori degli esseri umani: il profitto incontrollato delle numerose industrie (tech, artistiche, farmaceutiche) e il bisogno del superfluo amplificato dalla velocità con cui si propagano le informazioni, i messaggi e le azioni incontrollate, che prevalgono spesso sulle facoltà cognitive e riflessive. Così, mentre alcune sparute minoranze fuggono dalle grandi città per scandire la propria vita al ritmo della lentezza, la vita digitale viene scandita dalla velocità e dal bisogno. Basta un clic per dar seguito a un acquisto, non serve più neanche inserire la carta di credito. E  la velocità con cui si acquista un prodotto, per i venditori e per gli acquirenti, deve trasformarsi automaticamente in una consegna immediata. La velocità “virtuale” con cui viaggiano le informazioni nella rete ha indotto nelle persone un inconscio desiderio di velocità “reale” insostenibile per chi si trova a dover soddisfare un delirio simile: i lavoratori. Fattorini, magazzinieri e spedizionieri sono diventati i nuovi schiavi, costretti a ritmi insostenibili, a pause programmate, anche per andare in bagno, a contratti precari, a rischi di ogni genere e a salari inadeguati. Se è vero che queste discriminazioni sono sempre avvenute è anche vero che, dal mio punto di vista, una golosa cena all you can eat può anche essere consumata al ristorante, evitando che il viziato digitale si avvalga del fattorino che effettua le consegne pedalando sotto la pioggia. Questo tipo di schiavitù, poco attinente alla digitalizzazione, può essere fronteggiato, ammesso che si possa ragionare con le “industrie” del consumo, garantendo e pretendendo maggiori diritti per i lavoratori e condizioni di lavoro umane, affinché gli sfruttati siano un po’ meno sfruttati. Sono cambiati i mezzi, ma le modalità di sfruttamento sono rimaste le stesse: il benessere acquisito da pochi viene difficilmente spartito con gli altri. La forma di schiavitù ben più pericolosa della precedente, però, riguarda le distorsioni indotte dall’abuso degli strumenti digitali. È più pericolosa perché è l’espressione di un bisogno patologico di “esserci”, nel senso heideggeriano, senza esserci. È l’espressione di un progetto di esistenza sbiadito, mascherato, nascosto dietro un filtro che può essere una piattaforma di e-commerce, un sito pornografico, un social network o un sistema di messaggistica. È l’espressione di una voglia di protagonismo lontano dal palcoscenico, dietro le quinte. Perché per essere protagonisti è necessario esporsi, e gli strumenti digitali virtualizzano la presenza, la fisicità, le possibilità. È l’espressione del desiderio di controllo sugli altri, dell’alienazione, dello svilimento del pensiero critico a favore del pensiero veloce, quello del relativismo che ha trasformato la cultura in opinioni. Questa forma di schiavitù merita una vera e propria rivoluzione perché ha trasformato le possibilità degli individui in qualcosa di estremamente fragile e superficiale. E rende tutti tremendamente soli.

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16/11/2024
Sull’addio alle ricette cartacee, parla al Secolo.it Andrea Bisciglia cardiologo e responsabile dell’Osservatorio Sanità Digitale della Fondazione Aidr. “Ci opporremo fermamente a qualsiasi tentativo di polemizzare strumentalmente su queste iniziative – spiega – perché crediamo che il cambiamento sia indispensabile per costruire una sanità più efficiente e inclusiva. Il nostro impegno è rivolto a difendere chi lavora per una Nazione migliore”. Dottor Bisciglia, il Governo italiano ha annunciato che dal 2025 sarà attuato l’articolo 54 della Legge di Bilancio, portando a termine il processo di dematerializzazione delle ricette mediche. Qual è il significato di questo cambiamento per il rapporto tra cittadini e Servizio Sanitario Nazionale? Questo cambiamento rappresenta una vera e propria rivoluzione nel modo in cui i cittadini accedono ai farmaci e ai servizi sanitari. La dematerializzazione delle ricette mediche semplifica radicalmente la vita dei pazienti, eliminando la necessità di recarsi fisicamente negli studi medici per ottenere la prescrizione cartacea. A partire dal 2025, i medici potranno inviare le ricette in formato digitale tramite e-mail, WhatsApp o altre modalità elettroniche, rendendo il processo molto più rapido ed efficiente. Si tratta di un passo fondamentale verso una sanità più moderna e accessibile.
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12/11/2024
Roma, 18-20 Novembre 2024 – FH55 Grand Hotel Palatino ospita la terza edizione del prestigioso Corso Residenziale di Elettromiografia e Tecniche Neurofisiologiche: Good Clinical Practice, un evento scientifico all'avanguardia che riunisce specialisti di neurologia e neurofisiologia per una formazione avanzata sulle più moderne metodiche neurofisiologiche. Con il crescente ruolo della tecnologia e dell’intelligenza artificiale (IA) nel campo della medicina, il corso di quest’anno ha introdotto sessioni dedicate all’integrazione di strumenti tecnologici avanzati e algoritmi di IA nella pratica clinica, rivoluzionando l'approccio alle diagnosi neurofisiologiche. Sotto la direzione scientifica della Dr.ssa Marilena Mangiardi medico specialista neurologo e neurofisiologo e Tesoriere della Società Italiana di Neurofisiologia Clinica, il corso vede la partecipazione di un comitato medico e tecnico-scientifico di spicco, con la presenza di esperti di fama nazionale che, attraverso lezioni frontali, esercitazioni pratiche e discussioni interattive, forniranno ai partecipanti un’esperienza didattica completa e integrata.
Notizie
30/10/2024
La rapida accelerazione di quel che potremmo definire il nuovo mondo del terzo millennio, non ammette pause, non concede sconti ad alcuno: o ti adegui alla velocità dei cambiamenti o sei fuori In fondo è sempre stata questa la storia dell’evoluzione dell’uomo. Cosa cambia allora rispetto al passato? La velocità. Tutto accade e si consuma troppo in fretta, tutto diventa obsoleto già domani. Non si fa a tempo di assorbire un cambiamento, che già ne arriva un altro.Viviamo nella realtà aumentata e l’intelligenza artificiale ci dà ogni risposta ad ogni domanda, poco importa se, poi, non siamo più in grado di sviluppare un processo critico di conoscenza e di osservazione che poggi sulle più solide letture classiche e moderne, o sugli studi degli esperti.

 

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