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Cultura museale e Internet: guardiamo oltre l’effetto Ferragni

di Francesco Pagano, Consigliere Aidr e Responsabile servizi informatici Ales spa e Scuderie del Quirinale

Ci voleva l’ennesima (e stucchevole) polemica per aprire un dibattito sul legame tra istituzioni museali e nuove tecnologie. Purtroppo, di fronte alle visite culturali di Chiara Ferragni e alla campagna social collegata, buona parte dell’opinione pubblica e della stampa si è limitata a commentare nell’ottica di una polemica che, a ben vedere, non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nell’Italia del 2020. Abbandonando i binari su cui è stata letta tutta la vicenda, quello che dovrebbe farci riflettere è il campo di possibilità che le nuove tecnologie possono aprire per una migliore fruizione della cultura nel nostro paese. E non si tratta soltanto di “usare” Internet o i social network per promuovere le visite in un museo.
Il vero tema è quello di creare (o consolidare) un legame tra mondo reale e mondo virtuale che già intreccia tantissimi aspetti della nostra vita ma che, nel settore delle istituzioni museali, stenta ancora a mettere radici solide. Eppure, negli ultimi mesi, le nuove tecnologie hanno soccorso i musei di tutta Italia, per esempio consentendo di rimpiazzare con app e pagine Web dedicate quelle audioguide che a causa della pandemia da Covid-19 non si sono più potute utilizzare. E qualcuno può immaginare come sarebbe stato possibile gestire le prenotazioni (diventate obbligatorie) senza fare leva su un sito Internet?
Ora sarebbe il momento di uscire dall’ottica emergenziale e rendersi conto che gli strumenti digitali non sono solo qualcosa che può aiutare a livello logistico, ma che aprono una dimensione parallela ma strettamente legata a quella fisica. Limitando l’orizzonte ai social network sarebbe opportuno comprendere come questi possano essere utilizzati in maniera decisamente più “matura”. Creare un rapporto a livello di comunicazione su Internet e i social media non è semplice marketing e non può essere guardato con la diffidenza di chi ancora si ostina a considerare i vari Facebook, Instagram, TikTok (sì, anche TikTok) e Twitter come qualcosa di “poco serio” o “frivolo”.
Se c’è qualcosa che abbiamo imparato nell’ultima decade, è che quelli digitali sono strumenti estremamente versatili e che il valore della comunicazione non dipende dal vettore che si utilizza, quanto dai contenuti che si veicolano. Se c’è qualcosa che però dobbiamo ancora interiorizzare è che per riuscire a diffondere contenuti di qualità e utilizzare gli strumenti digitali per sostenere e valorizzare le istituzioni museali, serve creare una “cultura del digitale” che permetta di utilizzare le nuove tecnologie con quella consapevolezza e capacità che permette di trasformarli davvero in un volano per il mondo della cultura.
Con una avvertenza: i risultati di questa piccola rivoluzione, che a macchia di leopardo sta muovendo qualche passo in tutto il paese, non si misura necessariamente con il numero di biglietti venduti e le statistiche delle visite. Il loro aumento, al massimo, può essere una conferma della bontà del processo. Ma la vera sfida è quella di ampliare gli orizzonti del settore, per colmare quella che, a oggi, ha il sapore di un “vuoto” non più tollerabile.
Per farlo, però, occorre tenere presente che le cose non succedono da sole e che non si può certo fare conto sull’aiuto occasionale della Chiara Ferragni di turno. Insomma: per riempire il vuoto che ci separa da una nuova interpretazione del rapporto tra cultura e tecnologia servono investimenti e una strategia adeguata. E il tempo corre…

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