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Ecco «Sofia»: 200mila insegnanti iscritti, 157mila percorsi formativi attivati

La cifra record di 426 milioni l’anno, compresi i 500 euro della “Card” per l’aggiornamento professionale dei docenti, introdotta dalla Buona Scuola; una nuova piattaforma ministeriale, “Sofia”, che in meno di tre mesi conta già 200mila professori (più del 20% dell’intero corpo insegnante), di cui 120mila si sono iscritti a 157.415 percorsi formativi; oltre 300 enti accreditati (con una minuziosa operazione di “ripulitura” – in passato erano oltre 600), 2.560 istituti scolastici che hanno messo in pista “corsi ad hoc” per prof (e studenti), spaziando dalle competenze linguistiche e digitali, all’inclusione degli alunni con disabilità, all’alternanza scuola-lavoro, resa obbligatoria negli ultimi tre anni delle superiori dalla riforma Renzi-Giannini.

La novità
Snobbata per decenni (in primis, da buona parte degli stessi docenti, perché non vincolante, fino al 2015), la formazione professionale degli oltre 750mila professori italiani prova adesso il cambio di passo: lo scorso anno, dopo un “letargo” di quasi 30 anni il ministero dell’Istruzione ha adottato il piano triennale di formazione degli insegnanti, orientando, con una serie di priorità nazionali, l’offerta rivolta ai prof in servizio, che dovrà essere coerente con il piano dell’offerta formativa a vantaggio degli studenti e con il miglioramento complessivo della singola scuola. Certo, le difficoltà non mancano; c’è bisogno di maggiore sinergia tra Miur-Uffici scolastici regionali, presidi e associazioni, enti, università, per strutturare al meglio le unità formative. «Ma la macchina si è messa in moto – ha spiegato il dg per il Personale scolastico del Miur, Maria Maddalena Novelli -. Con la piattaforma Sofia saremo in grado seguire l’intero ciclo della vita della formazione dei docenti, partendo dal fabbisogno, e calibrando le iniziative in base alle differenti esigenze del corpo insegnante. Rendiconteremo, poi, i risultati raggiunti».

I primi risultati
Ma il campione di prof finora registrato in Sofia che tipo di formazione ha scelto? «Quasi il 30% si è iscritto a moduli inerenti la didattica per competenze – ha risposto Novelli -. Il 16% ha puntato su innovazione e digitale, il 4,7% sull’alternanza scuola-lavoro; un dato basso, certo, quest’ultimo, ma che si può spiegare con il campione di docenti analizzato, la stragrande maggioranza insegnanti del primo ciclo». Andando a spulciare tra gli altri dati, elaborati dal dirigente del Miur dell’ufficio formazione Davide D’Amico, e presentati a Job&Orienta a Verona, che si è chiuso ieri, emerge una preferenza, nelle scelte formative dei docenti, anche per le metodologie didattiche e l’inclusione scolastica e sociale. Percentuali piuttosto basse invece per educazione alla cultura economica (opzionate dall’1,3% del campione), metodologie e attività laboratoriali (0,7%); cittadinanza attiva e legalità (0,5%), bisogni individuali e sociali dello studente (0,4%). Anche qui, probabilmente, ha inciso la scarsa rappresentatività di insegnanti della scuola secondaria.

Alta soddisfazione percepita
Interessante anche la lettura del livello di soddisfazione degli insegnanti, la qualità percepita, che servirà anche ad attivare azioni correttive da parte del MIUR sulla base dei risultati di un questionario di 27 domande standardizzato per tutti i percorsi formativi presenti su SOFIA. Il dato sintetico rileva una soddisfazione del 72 per cento. In media i percorsi formativi hanno una durata di 20 ore, ogni prof in formazione ha un costo di 60 euro (si scende a 47 euro, standard, per i neo-assunti); la spesa per un percorso si è attestata a 2.500 euro.

Le best practice
Dai territori sono emerse 10 best practice, che il Miur ha voluto premiare. Il Convitto nazionale Colombo, di Genova, il Liceo Charles Darwin di Rivoli (To), l’Ettore Majorana di Brindisi, l’istituto comprensivo 3 di Chieti (molti interessanti i progetti sul Clil, l’insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera), il Gasparrini di Melfi (Pz), il Leonardo da Vinci di Roma, l’istituto comprensivo 9 di Bologna, il Ferraris-Brunelleschi di Empoli, il Pastori di Brescia (sugli scudi per l’alternanza scuola-lavoro) e il Calvi di Belluno. «Esempi concreti: anche da qui passa il rilancio della scuola italiana», ha concluso il dg Novelli.

Claudio Tucci

Fonte: http://bit.ly/2BD0fs1

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Sull’addio alle ricette cartacee, parla al Secolo.it Andrea Bisciglia cardiologo e responsabile dell’Osservatorio Sanità Digitale della Fondazione Aidr. “Ci opporremo fermamente a qualsiasi tentativo di polemizzare strumentalmente su queste iniziative – spiega – perché crediamo che il cambiamento sia indispensabile per costruire una sanità più efficiente e inclusiva. Il nostro impegno è rivolto a difendere chi lavora per una Nazione migliore”. Dottor Bisciglia, il Governo italiano ha annunciato che dal 2025 sarà attuato l’articolo 54 della Legge di Bilancio, portando a termine il processo di dematerializzazione delle ricette mediche. Qual è il significato di questo cambiamento per il rapporto tra cittadini e Servizio Sanitario Nazionale? Questo cambiamento rappresenta una vera e propria rivoluzione nel modo in cui i cittadini accedono ai farmaci e ai servizi sanitari. La dematerializzazione delle ricette mediche semplifica radicalmente la vita dei pazienti, eliminando la necessità di recarsi fisicamente negli studi medici per ottenere la prescrizione cartacea. A partire dal 2025, i medici potranno inviare le ricette in formato digitale tramite e-mail, WhatsApp o altre modalità elettroniche, rendendo il processo molto più rapido ed efficiente. Si tratta di un passo fondamentale verso una sanità più moderna e accessibile.
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