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La Crusca inserisce «Cringe» tra le nuove parole della lingua italiana

Diffusa nel mondo social, si utilizza sia come aggettivo che come sostantivo per descrivere situazioni imbarazzanti. Ma non compare ancora nei dizionari

di Alessandro Vinci 

Cringe: una delle parole più diffuse sui social. Chi non l’ha mai incontrata navigando per esempio su Facebook o su Instagram? Mutuata dall’inglese, è ormai entrata nel lessico comune di numerosissimi utenti nostrani. Per questo l’Accademia della Crusca, sempre pronta a vagliare eventuali novità, la scorsa settimana ha deciso di includerla nel suo elenco digitale delle nuove parole della lingua italiana, appena dopo «coronavirus». Due i possibili usi: come aggettivo o come sostantivo. Nel primo caso, scrive la linguista Luisa Di Valvasone, può essere utilizzata come sinonimo di «imbarazzante, detto di scene e comportamenti altrui che suscitano imbarazzo e disagio in chi le osserva». Nel secondo, invece, viene definita «1. la sensazione stessa di imbarazzo; 2. il fenomeno del suscitare imbarazzo e, in particolare, le scene, le immagini, i comportamenti che causano tale sensazione».

I primi esempi nel 2011

Del termine cringe l’Accademia riferisce poi gli originari significati inglesi, vale a dire «rannicchiarsi o contrarre i muscoli involontariamente come per il freddo o per il dolore», «indietreggiare per il disgusto» e, per l’appunto, «provare imbarazzo e vergogna per qualcosa». Non a caso spesso è proprio in questi modi che si reagisce, pressoché d’istinto, al cospetto di situazioni che non ci fanno sentire a nostro agio. Come «periodo di affermazione» viene indicato il 2020, ma Di Valvasone ha scovato usi italiani del lemma che risalgono a dieci anni fa: «A partire dal 2011 – si legge – si trovano in italiano alcune attestazioni di cringe comedy, genere cinematografico basato su un tipo di umorismo che fa ridere di cose molto imbarazzanti, riferite al film “La peggior settimana della mia vita” di Alessandro Genovesi. Mentre le prime attestazioni di cringe − nel significato di “imbarazzante; qualcosa o qualcuno così imbarazzante da provocare a sua volta imbarazzo in chi osserva” − si possono rintracciare sporadicamente a partire dal 2012». A dimostrarlo, alcuni tweet dell’epoca riproposti dalla stessa Accademia.

 

Come correttamente puntualizzato, tuttavia, è solo tra il 2015 e il 2016 che il termine ha davvero iniziato a circolare in Italia. Merito della diffusione dei video del filone «Try not to cringe», compilation pensate per generare imbarazzo nello spettatore e ormai diventate un classico del web. Inoltre sono nate maccheroniche variazioni come il superlativo assoluto «cringissimo», il participio presente «cringiante», il verbo «cringiare» e il sostantivo «cringiata».

Non si trova ancora nei dizionari

Il fatto che la Crusca abbia inserito cringe tra le nuove parole della lingua italiana, tuttavia, non deve trarre in inganno. Come descritto sul sito, infatti, il principale obiettivo dell’elenco è semplicemente «fornire uno strumento di informazione completa e corretta su parole che si possono incontrare nello scritto e nel parlato». Perciò «il fatto che la redazione dedichi una scheda a una determinata parola in nessun modo significa che l’Accademia della Crusca ne promuove l’ingresso nel repertorio delle parole effettive dell’italiano, dal momento che questo può avvenire soltanto in modo “naturale”, sulla base delle normali dinamiche di funzionamento delle lingue». In questo senso, cringe sembra avere ancora molta strada da fare per essere ufficialmente considerata parte della nostra lingua. Perché per quanto venga descritta come «piuttosto diffusa in rete, sui social network e sulle piattaforme di streaming e video come YouTube e Twitch», per il momento «rimane legata al suo ambito d’origine e a un uso gergale prevalentemente giovanile». Naturale quindi che non sia stata ancora indicizzata da alcun dizionario. Tra le statistiche viene infine riportato come non sia neppure mai stata utilizzata dal Corriere della Sera. Dopo questo articolo non sarà più così.

Fonte Corriere della Sera del 20/01/2021

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