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Privacy e intelligenza artificiale, aumentano le persone che chiedono la cancellazione dei loro dati

di Marco Cimminella
La trasparenza nel trattamento delle informazioni è una richiesta imprescindibile per i consumatori, che spesso non si fidano di come le aziende usano quello che sanno di loro 
L’innovazione tecnologica e il processo di digitalizzazione dell’economia, accelerati dalla pandemia di Covid-19, stanno cambiando il modo in cui lavoriamo, studiamo, trascorriamo il tempo libero o ci curiamo. In un mondo sempre più dotato degli strumenti per sfruttare appieno le potenzialità di Internet e dei dati, la protezione della privacy continua a essere una priorità per gli individui, le organizzazioni economiche e i governi nel mondo. I consumatori temono gli usi che possono essere fatti delle loro informazioni grazie all’intelligenza artificiale e gli abusi hanno eroso la loro fiducia.
Per questo pretendono trasparenza e controllo nelle pratiche che comportano la raccolta dei loro dati, anche quando il fine è contrastare una pandemia. E anche se le leggi sulla privacy sono accolte positivamente nel mondo, la conoscenza delle stesse rimane bassa.
A dirlo è il Cisco 2021 Consumer Privacy Survey, che ha cercato di analizzare l’attitudine degli individui verso il trattamento dei dati personali da parte delle aziende, una questione fondamentale per le realtà che vogliono consolidare la fiducia dei consumatori. Allo studio hanno partecipato 2600 adulti in 12 Paesi diversi (5 in Europa, 4 nella regione dell’Asia Pacifico e 3 nelle Americhe): “I consumatori vogliono sapere quali informazioni vengono raccolte, per quali finalità e in che modo vengono elaborate – ci ha detto Andrea Negroni, country leader della cybersecurity per Cisco Italia – La sfiducia verso le aziende dipende dalla capacità di quest’ultime di rispondere a tali domande e di garantire la protezione dei dati degli utenti”.
Gli attivisti della privacy
La trasparenza nel trattamento dei dati è una richiesta imprescindibile per molti individui, che non si fidano di come le aziende usano le informazioni che li riguardano. Nonostante i regolamenti sulla privacy e le tecnologie che aiutano a impedire accessi non autorizzati, quasi la metà delle persone che hanno risposto al sondaggio (il 46%) pensano di non essere in grado di proteggere efficacemente i loro dati. La ragione principale è l’adozione da parte delle aziende di pratiche poco chiare nella raccolta e utilizzo di queste informazioni: il 76% degli intervistati non riesce a capire come verranno utilizzate dalle imprese.
E così sempre più persone si stanno impegnando attivamente a proteggere la loro privacy, chiedendo la modifica o la cancellazione dei loro dati o anche interrompendo il rapporto che avevano con un’azienda, online oppure offline, a causa di preoccupazioni legate al trattamento delle informazioni personali: “Un terzo ha abbandonato i servizi forniti da società di social media e un 28% il fornitore di accesso a Internet”, si legge nel report. Ancora: “Il 19% ha interrotto una relazione con un retailer, un altro 19% con un fornitore di carta di credito e un 18% con una banca o un’istituzione finanziaria”. Un fenomeno che ha riguardato soprattutto i consumatori più giovani, visto che il 44% del totale degli attivisti della privacy ha tra i 25 e i 34 anni: un dettaglio che fa prevedere per il futuro un aumento delle persone che si comporteranno in questo modo se questo trend dovesse rimanere immutato.

Secondo Cisco, “questa tendenza riflette la necessità di comprendere appieno il processo di raccolta dei dati, il tipo di governance che è stata applicata, ma anche di avere sempre accesso agli stessi e di gestirne il ciclo di vita”. Esigenze sentite fortemente anche nel nostro Paese: tra gli Stati che hanno registrato un maggior numero di richieste alle aziende di modifica o cancellazione dei dati dei consumatori c’è anche l’Italia (il 25% degli intervistati), dietro a India (37%) e Brasile (26%).

Scarsa conoscenza delle leggi
Nonostante l’accoglienza positiva dei regolamenti per la protezione dei dati personali in diverse parti del mondo, sono ancora pochi i consumatori che li hanno compresi: in Europa, solo il 38% degli spagnoli intervistati, valore che sale al 44 in Italia, al 46 in Germania, al 55 in Francia e al 58% nel Regno Unito. Percentuali che però si abbassano in altre parti del mondo, dal Giappone (25%) alla Cina (33%), fino al Brasile (37%).

Una tendenza paradossale, se si pensa che le leggi sulla privacy sono percepite in modo positivo dai consumatori e che molti di loro non si fidano di come le aziende trattano i loro dati personali: la maggior parte delle persone intervistate ha detto di preferire che siano i governi nazionali a garantire controllo e protezione. Per Negroni, comunque, la piena conoscenza delle leggi sulla privacy da parte dei consumatori è un processo che richiede tempo: “Entrare nel merito delle normative è più complesso, è un passaggio successivo alla richiesta degli individui di capire come vengono gestiti i loro dati. Questa voglia di conoscere le modalità di trattamento delle informazioni personali è un atto di maggiore consapevolezza della nostra vita digitale, che precede la decisione di comprendere anche le leggi che regolano la materia”.

Nessuna rinuncia alla protezione della privacy

Anche durante la pandemia di Covid-19, la maggior parte delle persone non vuole rinunciare alla protezione della privacy, in particolare quando si tratta di dati relativi alla salute: “Sono informazioni critiche rilevanti, e il tema della fiducia diventa ancora più importante per le persone che sono chiamate a condividerle”, è il commento dell’esperto che abbiamo consultato. La ricerca mostra che solo il 41% dei partecipanti al sondaggio è a favore della comunicazione di ogni informazione relativa a persone contagiate, un valore che aumenta quando si parla di richiedere lo status di vaccinato come requisito per andare in ufficio o luoghi pubblici (60 e 62%, rispettivamente).

Si tratta di valori medi, visto che la differenza tra un Paese e l’altro può essere notevole. Il sostegno alla condivisione delle informazioni personali relative allo status di vaccinazione varia dalla percentuale più bassa che riguarda la Germania (48%) a quelle più alte di India (81%) e Cina (77%); l’Italia è a metà dell’elenco dei Paesi esaminati: il 68% degli intervistati vede l’utilizzo del Green Pass come “un importante aiuto per un rientro in ufficio sicuro”.

 

Timori per l’uso dell’intelligenza artificiale
L’IA permette alle imprese di analizzare i dati dei consumatori per fornire loro esperienze migliori, dallo shopping ai servizi sanitari. Tuttavia, sono tanti gli individui che non si fidano di lasciare questo grande potere in mano alle aziende: il 56% ha espresso preoccupazione sull’utilizzo delle informazioni personali che vengono raccolte e gestite da sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Soprattutto quando questa tecnologia viene impiegata per dedurre l’etica del lavoro di un candidato che si presenta a un colloquio oppure lo stato di salute mentale di individuo, un utilizzo dell’intelligenza artificiale che rischia di minare la fiducia verso un’azienda: “L’IA è uno strumento che, dato un input, restituisce un output – ci ha fatto notare Negroni – Una tecnologia che permette di analizzare informazioni in modo più veloce di quanto farebbe l’uomo e che per il consumatore potrebbe risultare invasiva. Per questo, le persone vogliono sapere che tipo di output verrà prodotto e come”.

I risultati del report suggeriscono quindi che le organizzazioni dovrebbero essere particolarmente attente nell’uso dell’Intelligenza artificiale nei processi di decision making che hanno un impatto diretto sugli individui. Lo studio mette in evidenza così la necessità di una maggiore trasparenza informativa e della definizione di princìpi etici quando si fa affidamento a questi sistemi: “Per consolidare la relazione di fiducia con i consumatori, l’azienda deve distinguersi per una comunicazione chiara degli aspetti relativi al trattamento dei dati e deve dare garanzie agli utenti che sarà impedito ogni accesso non autorizzato alle sue informazioni –  ha aggiunto l’esperto di Cisco – Dovrà anche dimostrarsi capace di proteggere i dati da eventuali violazioni e assicurare che anche i fornitori rispettino standard e certificazioni”.

Il New Trust Standard di Cisco
Per rispondere a queste esigenze delle aziende, Cisco ha elaborato quello che ha chiamato New Trust Standard, uno strumento che consente di valutare il loro livello di affidabilità durante il percorso di trasformazione digitale, così come di creare relazioni di fiducia con i clienti in un mondo sempre più ibrido e in cui i dati raccolti online e il panorama delle minacce informatiche è in costante aumento.

Si tratta di un framework che consente di verificare l’affidabilità delle soluzioni aziendali con l’obiettivo di rafforzare la fiducia dei clienti. Si basa su 5 elementi chiave:

  • Architettura Zero-Trust, che permette di tenere lontano i criminali informatici, verificando costantemente la connessione di ogni dispositivo;
  • Trusted supply chain, che significa sapere tutto dei dispositivi che utilizziamo, da come sono prodotti a dove si trovano, lavorando a stretto contatto con i fornitori per evitare qualsiasi tipo di rischio;
  • Trattamento dei dati, cioè gestire e proteggere adeguatamente i dati, indirizzando le aspettative dei clienti e i requisiti normativi;
  • Trasparenza, cioè essere chiari su quali dati vengono raccolti e come vengono utilizzati, comunicare in modo trasparente eventuali problemi nel momento in cui si verificano e ciò che si sta facendo per porvi rimedio;
  • Certificazioni e conformità legislativa, cioè infondere fiducia ai clienti attraverso le certificazioni di affidabilità ottenute da enti indipendenti.

Fonte La Repubblica del 04/10/2021

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