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Rating di legalità, un valido incentivo per promuovere tecnologie e trasparenza

Il sistema Italia che vuole crescere a pane e tecnologie chiede a viva voce uno sforzo qualitativo e quantitativo importante alle istituzioni per sostenere le nuove frontiere dell’innovazione, soprattutto in materia lavoro e di garanzia della trasparenza.

Per questa, e per altre ragioni, “Rating di legalità nella pubblica amministrazione” è qualcosa di più di un premio da assegnare a quelle PA che si distinguono, cosiddette “virtuose”, e che intendono intraprendere definitivamente la strada della chiarezza, della trasparenza e soprattutto della responsabilità nei confronti degli utenti.

Vuole rappresentare piuttosto un tema di identità, un’immersione nell’impegno di enti, Comuni e Regioni e di quanti altri verranno presi in considerazione. Affinché l’efficienza diventi l’alfa e l’omega, visto che ormai non se ne può prescindere in una società che vuole continuare a coltivare il legame tra istituzioni e cittadini.
Tuttavia il significato dell’iniziativa è ancora più profondo. Anzitutto perché necessita estirpare la corruzione, un problema che ha radici antiche ed ha assunto una forma endemica, intollerabile.
Così, se da un lato si possono rivelare molto utili provvedimenti per snellire gli apparati, dall’altro è necessario accelerare il processo di digitalizzazione dell’Italia al fine di alleggerire il carico burocratico e allocare le risorse pubbliche nel modo migliore, sulla base di priorità che mirano a supportare prevalentemente un sistema online. Dando vita a una politica basata sullo sviluppo tecnologico e non soltanto sul sostegno ad alcuni settori industriali e imprenditoriali.

In questa ottica andrebbero inseriti degli sgravi fiscali per sostenere gli investimenti nell’innovazione digitale come già avvenuto ad esempio nell’industria dove, grazie al piano nazionale 4.0 basato sulla crescita tecnologica trasversale, hanno dato i risultati sperati e tra ammortamenti, nuovi ordinativi di macchinari e di apparecchiature elettroniche hanno fatto registrare un aumento di oltre 10 punti percentuali fra gennaio-giugno 2017 e lo stesso periodo dell’anno precedente.

Sul fronte della legalità, oltre al nuovo codice degli appalti approvato dal Consiglio dei ministri ad aprile, un vero e proprio provvedimento simbolo, un decreto correttivo che di fatto ha modificato 131 articoli sui 220 varati l’anno scorso, c’è tanto altro da fare. E, nonostante l’inserimento di una maggiore flessibilità adottata per far sì che vengano affrontate con decisione le difficoltà causate dalla crisi del settore, dal sistema semi-automatico di esclusione delle offerte anomale nelle gare fino a 2 milioni al ruolo organizzativo dell’Anac di Raffaele Cantone e alla qualificazione delle stazioni appaltanti, c’è da svolgere in modo più deciso un’opera di promozione della legalità.
Per questa, e per altre ragioni, potrebbero essere numerose le ricadute di un investimento, non solo in termini economici, su internet. Infatti, la web reputation sta assumendo sempre più un peso crescente nelle strategie aziendali dei privati e quindi potrebbe raccontare meglio la pubblica amministrazione in forma chiara e trasparente. Magari adottando un approccio più friendly, che possa aiutare a sbrogliare il groviglio di veti nel quale spesso resta impigliata l’iniziativa pubblica e raggiungere chiunque, nelle grandi e piccole realtà, aumentando di fatto la forza dei messaggi che si intendono trasmettere. Tutto ciò, beninteso, monitorando costantemente la rete affinché i dialoghi si trasformino gradualmente da momenti di semplice ascolto in fili diretti con gli utenti.

È questa, dunque, la vera interazione sul web, che passa anche attraverso l’istituzione di premi come il “Rating di legalità nella pubblica amministrazione” dell’associazione Italian Digital Revolution, teso a modernizzare la macchina statale. Attraverso uno strumento come il software creato da Tecnoter per monitorare l’impegno delle PA ma con un occhio attento anche ai social network dove, se da una parte incombe anche qui la necessità di una regolamentazione generale sulla velocità di diffusione delle informazioni, dall’altra si evidenzia quanto sia legittima e sacrosanta la domanda dei cittadini di essere coinvolti nelle decisioni.
Tutto ciò necessariamente connesso a un altro discorso ma che riguarda comunque il destino degli italiani: quello della formazione, degli accordi di collaborazione tra associazioni per portare il web nella didattica in generale, dagli istituti superiori alle università. Dando vita ad alcuni master e corsi di studio.

Certo, anche questa è una scommessa. In quanto il coinvolgimento di studenti, laureandi, laureati, dipendenti delle PA e liberi professionisti in corsi dedicati alla cybersecurity o allo smart working si potrebbe rivelare un alleato del sistema paese nella dura partita delle competenze digitali. Una sfida che non si può pensare di perdere. Soprattutto se si considera che il concetto di trasformazione digitale ha ormai varcato ogni confine allargandosi a tutti i settori economici.

Arturo Siniscalchi, direttore Area produzione Formez PA e vice presidente dell’associazione Italian Digital Revolution

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