Recovery plan: Le risorse per la PA digitale
di Enrica Cataldo, Socio AIDR
Uno dei tre assi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riguarda la digitalizzazione e l’innovazione del settore pubblico, grimaldelli decisivi per innescare il rilancio economico del Paese, la cui portata non è mai stata così amplificata come durante questa tragica pandemia.
L’impegno è quello di cambiare la Pa in chiave digitale. A questo si accompagna l’obiettivo di accelerare i tempi della giustizia e di favorire la diffusione di piattaforme, servizi digitali e pagamenti elettronici presso le pubbliche amministrazioni e i cittadini.
Come è noto, il Piano si articola in sei missioni che individuano aree omogenee di intervento. Ogni missione si struttura in componenti funzionali alla realizzazione degli obiettivi economici e sociali voluti dal Governo, e ciascuna componente, a sua volta, è declinata in linee progettuali coerenti.
La prima missione del Piano, denominata “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, è organizzata in tre componenti e si pone lo sfidante obiettivo di modernizzare sia il comparto pubblico che la filiera produttiva privata. In particolare, la sua prima componente, “Digitalizzazione e modernizzazione della PA”, ha la finalità di trasformare il settore pubblico e di riformarlo in maniera strutturale dotandolo di infrastrutture moderne, interoperabili e sicure. Un obiettivo indubbiamente molto ambizioso al quale si intende arrivare mediante l’adeguamento delle infrastrutture necessarie per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e la riqualificazione delle competenze dei dipendenti pubblici, in un’ottica di semplificazione e di “sburocratizzazione” dei processi.
La linea progettuale dedicata all’innovazione della PA fa parte della prima componente della prima missione del Piano. Nell’ambito della prima componente, infatti, viene dato spazio ad un vasto programma di innovazione rivolto alla creazione di una PA qualificata come: capace, competente, semplice e smart. La linea progettuale si articola in quattro investimenti e può contare su un budget complessivo di 1.500 milioni di euro.
Il primo investimento mira a rendere la PA capace e si concentra sulla riorganizzazione delle modalità di reclutamento del capitale umano, particolarmente urgenti dopo anni di blocco dei turn over, sicchè si giunga ad assumere personale con competenze professionali adeguate. Le azioni suggerite prevedono il ripensamento dei modelli per l’analisi dei fabbisogni e delle competenze, l’avvio di una nuova stagione concorsuale che punti ad una programmazione periodica delle selezioni pubbliche e ricorra a modelli selettivi, in uso presso le istituzioni europee, che contemplino anche la valutazione delle soft skills , la realizzazione di un piano organico di assunzioni di personale a tempo determinato, la creazione di un “Portale del reclutamento” nazionale.
Per ottenere una PA competente il secondo investimento comporta una strategia di fortificazione del capitale umano che si basa su meccanismi di crescita delle competenze e delle motivazioni dei dipendenti pubblici e su percorsi di valorizzazione della professionalità. Diventa indispensabile uscire dalla logica dell’adempimento, guardare al risultato nel convincimento che è dalla condivisione degli obiettivi che si ottengono le performance migliori. La tanto invocata riforma della dirigenza pubblica con il rafforzamento del ruolo e delle competenze dei dirigenti, un nuovo sistema di formazione continua, il lavoro agile e le nuove forme di organizzazione del lavoro pubblico finalizzate all’ incremento della produttività individuale, sono alcune delle azioni suggerite per ottenere i risultati attesi.
Con il terzo investimento si potrà dar vita ad una PA semplice e connessa le cui leve saranno la semplificazione delle procedure amministrative e la digitalizzazione dei processi, capace di offrire servizi pensati sulle reali esigenze di cittadini e disegnati in una logica che pone il cittadino utente al centro. La mappatura dei procedimenti amministrativi e l’interoperabilità dei flussi documentali tra le amministrazioni sono designate quali punti di partenza indifferibili per determinare un effettivo cambiamento nei comportamenti. La principale debolezza è rappresentata proprio dalla cifra dello stanziamento, pari a 480 milioni, che appare non esaustiva rispetto alle esigenze dell’intero comparto pubblico.
Il quarto ed ultimo obiettivo punta alla creazione di una PA smart e prevede la realizzazione, anche attraverso il recupero di beni demaniali, di poli tecnologici territoriali delle amministrazioni pubbliche (PTA), secondo modelli innovativi, con spazi di co-working e smart working, di poli di innovazione tecnologica e di centri di formazione e di erogazione di servizi pubblici.
E’ questo, senz’altro, uno degli aspetti più sensazionali della parte del Piano dedicata alla PA. Il lavoro da remoto e la riorganizzazione dei lay-out rimandano ad una visione distopica, ma allo stesso tempo a portata di mano, in cui l’”ufficio condiviso” si sostituisce a quello tradizionale, con conseguente ottimizzazione nell’uso delle risorse e nella flessibilità dei tempi. La collocazione dell’ufficio più vicina ai lavoratori e agli utenti diventa un acceleratore di innovazione e di professionalità, modifica i territori e favorisce il recupero intelligente delle periferie delle città e dei borghi del Paese, con ricadute significative sulla decongestione del traffico e dell’inquinamento.
Chi sa che, con visionario ottimismo, non si possa immaginare in un futuro ormai prossimo che la crescita esponenziale della produttività individuale sia fortificata dal “genius loci”, ovvero dal potente legame che si instaura tra l’individuo e il suo territorio.
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