Smart Working: un’opportunità di crescita economica ed occupazionale
di Sergio Alberto Codella, avvocato e Segretario Generale Aidr
Sempre più spesso il fenomeno dello Smart Working è oggetto di approfondimento. L’attenzione allo Smart Working è determinata dall’importanza che le aziende pongono al mondo della digitalizzazione come opportunità di miglioramento della produttività e di contenimento dei costi.
La natura del mondo del lavoro è cambiata: dove, come e quando lavorare sono concetti non più rigidi e la differenza non è l’ “essere a lavoro”, ma il risultato ottenuto.
Lo Smart Working è una modalità di lavoro innovativa basata su forti elementi di flessibilità e volta a permettere al lavoratore di “scegliere”, con maggiore libertà, il luogo e l’orario di lavoro, utilizzando appositi strumenti informatici e “rivoluzionando” le modalità organizzative e di leadership aziendale.
Il futuro dell’organizzazione del lavoro passa necessariamente da qui.
Sarebbe riduttivo, però, ritenere che lo Smart Working possa essere uno strumento utile solo ed esclusivamente alle imprese.
Invero, lo Smart Working offre indiscutibili opportunità anche ai lavoratori ed alla comunità.
L’implementazione di modelli integrati di Smart Working permettono di ottenere numerosi effetti positivi.
A livello di organizzazione aziendale, una significativa implementazione dello Smart Working ha permesso di riscontrare: un miglioramento della produttività; una riduzione dell’assenteismo; una diminuzione dei costi relativi agli spazi fisici.
Con lo Smart Working si è reso possibile per i lavoratori: una riduzione dei tempi e dei costi di trasferimento; un aumento della motivazione e della soddisfazione; una significativa facilitazione delle esigente di vita personali.
Per la comunità, vi sarebbero innegabili vantaggi legati a fattori di tutela dell’ambiente, di riduzione del traffico e di alleggerimento per i trasporti pubblici.
Ma, allora, quali sono le “paure” legate allo smartworking?
Il mondo delle imprese e delle relazioni industriali è ancora troppo legato ad una visione fordista e taylorista, in cui erano le tecnologie meccaniche – e non quelle informatiche – a dettare i luoghi ed i tempi di lavoro.
Si deve prendere coscienza che, almeno per una gran parte del tessuto imprenditoriale del nostro Paese, oggi non è più così.
Sebbene l’informatica e la digitalizzazione abbiano già palesemente modificato la vita di tutti noi, la maggior parte dei modelli organizzativi di lavoro sono ancora, in gran parte, legati ad uno schema tradizionale che è destinato a scomparire.
Per gran parte delle realtà aziendali, la presenza fissa in un preciso luogo e per un certo numero di ore sono considerate l’unico modo possibile di lavorare.
A ciò sia aggiunga che una delle prime “barriere” preclusive allo sviluppo dello Smart Working è proprio la scarsa propensione a controllare da “remoto” le attività.
È già in corso la quarta rivoluzione industriale e il prezzo che potremmo pagare, nel caso in cui non affrontassimo tale sfida, rischia di essere molto alto con una definitiva marginalizzazione dell’Italia nello scenario economico globale.
In Italia, è cresciuta significativamente l’attenzione sull’urgenza di ripensare schemi e modelli tradizionali per recepire i cambiamenti in atto nel mercato occupazionale e con essa è aumentata l’attenzione a nuovi modelli di organizzazione.
Per poter comprendere quale sia lo stato dell’arte e le sorti future di questo nuovo modello di lavoro è necessario verificare la posizione dei vari player in gioco che sono:
• le imprese, i lavoratori e i sindacati, da un lato;
• le Istituzioni, dall’altro.
Se guardiamo il fenomeno dal un punto di vista delle iniziative aziendali, emerge che numerose imprese (di grandi dimensioni) hanno già ideato progetti di Smart Working, ma che sono poche le aziende che hanno effettivamente implementato sistemi organici ed integrati di Smart Working anche attraverso attività di change management, di formazione del personale e di modifica strutturale dei tradizionali luoghi di lavoro.
Ci troviamo peraltro in uno scenario in cui la società già pretende un lavoro “agile”, prima ancora che una legge lo riconosca.
Al riguardo, si precisa che una legge promozionale e di sostegno dello Smart Working potrebbe massimizzare le opportunità e contenere i rischi che sono inevitabilmente connessi a ogni fase di trasformazione epocale come quella che stiamo vivendo.
Dopo una prima proposta di legge del 2014, presentata alla Camera dei deputati, attualmente sono all’attenzione del Senato due disegni di legge (i nn. 2233 e 2229), di cui uno di iniziativa governativa, volto alla disciplina dello Smart Working.
Nella disamina di tali disegni di legge, sono stati anche ascoltati presso la Commissione Lavoro del Senato alcuni dei soggetti coinvolti (tra cui Confindustria, ANIA, Rete Imprese Italia ed i sindacati), i quali hanno potuto esprimere alcune loro valutazioni.
Ciò è la migliore conferma che anche le Istituzioni si siano rese conto dell’importanza del fenomeno dello Smart Working e che sia necessario un rapido intervento normativo.
A prescindere dalle differenze tra i due disegni di legge, è importante rilevare che il minimo comune denominatore sembra essere quello di non volere introdurre un “nuovo” tipo di rapporto di lavoro, ma si intende ridefinire alcune modalità di svolgimento di “tipi” di rapporti di lavoro già in essere.
Dopo una prima proposta di legge del 2014, presentata alla Camera dei deputati, attualmente sono all’attenzione del Senato due disegni di legge (i nn. 2233 e 2229), di cui uno di iniziativa governativa, volto alla disciplina dello Smart Working.
Nella disamina di tali disegni di legge, sono stati anche ascoltati presso la Commissione Lavoro del Senato alcuni dei soggetti coinvolti (tra cui Confindustria, ANIA, Rete Imprese Italia ed i sindacati), i quali hanno potuto esprimere alcune loro valutazioni.
Ciò è la migliore conferma che anche le Istituzioni si siano rese conto dell’importanza del fenomeno dello Smart Working e che sia necessario un rapido intervento normativo.
A prescindere dalle differenze tra i due disegni di legge, è importante rilevare che il minimo comun denominatore sembra essere quello di non volere introdurre un “nuovo” tipo di rapporto di lavoro, ma si intende ridefinire alcune modalità di svolgimento di “tipi” di rapporti di lavoro già in essere.
In altre parole e con precipuo riferimento al disegno di legge governativo, lo Smart Working si sviluppa come una “particolare” modalità di lavoro subordinato che deve essere regolata da apposito accordo scritto.
Lo Smart Working è invero circoscritto come la prestazione che si svolge “in parte all’interno dei locali aziendali” e in “parte all’esterno”.
Importante notare come si sia presa una significativa distanza dal fenomeno del telelavoro, che è quella modalità che permette di lavorare, per alcuni periodo di tempo, esclusivamente in casa.
Ovviamente, lo Smart Working determina dei potenziali punti critici che il disegno di legge già affronta relativamente:
• alla sicurezza sul lavoro, in quanto è necessario estendere le tutele infortunistiche anche quando il dipendente presta la propria attività fuori dai locali (e considerato che l’azienda avrà l’obbligo di “formare” ed “informare” periodicamente il lavoratore sui relativi rischi);
• ai limiti di orario e, al riguardo, il Disegno di legge governativo si limita a prevedere il rispetto delle soglie massime previsti dalla legge e dalla contrattazione.
In realtà, il disegno di legge sembra essere una normativa “aperta” che rinvia, nella sostanza, all’accordo individuale tra lavoratore e impresa la definizione delle modalità di svolgimento del lavoro agile.
Sarà quindi in sede di accordo che sarà necessario declinare, con chiarezza e precisione, le modalità di svolgimento della prestazione di Smart Working e vi sarà la necessità di definire le condizioni ed i “limiti” nei reciprochi interessi di svolgimento delle attività.
Sarà poi in ogni caso doveroso che il datore di lavoro rispettivi la normativa in tema di tutela della privacy e che siano specificati gli eventuali controlli “a distanza” sull’attività lavorativa nel rispetto del novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
Quanto alla contrattazione collettiva, il disegno di legge governativo prevede la “possibilità” – e non l’obbligo – per i sindacati di introdurre ulteriori previsioni volte a implementare tale strumento.
In conclusione, è possibile ritenere che, nel mondo dell’impresa privata, se, da un lato, vi è certamente la consapevolezza sulla necessità di implementare sistemi di Smart Working, dall’altro, vi sono ancestrali paure legate ad una visione tradizionale della impresa ormai superate e volte al fallimento.
E’, quindi, necessario prendere “coraggio” è affrontare con maggiore sicurezza tale percorso, anche attraverso una legislazione che, da un lato, possa offrire chiarezza interpretativa sullo strumento e, dall’altro, possa altresì prevedere sistemi di incentivazione adeguati.
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