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Trasformazione digitale nella cultura. A che punto siamo?

di Sara Duranti

La cultura, anch’essa ha iniziato il processo di trasformazione digitale; e il proseguire su questa strada sarà indispensabile per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano.

Unico neo: la lentezza con cui questo processo avviene, troppo lento, tremendamente; complici la mancanza di cultura (nel senso stretto del termine), di cultura digitale, di fondi e di voglia di progresso.

Siamo sempre lì, non giriamoci troppo intorno: tecnologia e digitale se ben implementati ed utilizzati sono opportunità, non minacce. E questo vale anche per il nostro patrimonio culturale.

Sul tema ho avuto il piacere di intervistare Francesco Pagano, consigliere Aidr (Associazione Italian Digital Revolution) e Responsabile servizi informatici di Ales spa e Scuderie del Quirinale.

La trasformazione digitale della cultura: un cambiamento indispensabile per la società

 

Q. Ciao Francesco, grazie innanzitutto per il tempo dedicatomi. Siamo qui per parlare di rivoluzione digitale nella cultura. A che punto siamo oggi?

A. Oggi nel pieno della cosiddetta “era digitale”, il settore della cultura registra un preoccupante ritardo nell’implementazione di strumenti e processi indispensabili per la valorizzazione del patrimonio culturale. Sia sotto il profilo della sua fruizione, sia sotto quello del potenziamento di strutture e procedure per la conservazione e valorizzazione.

Per chi opera nel settore culturale, il termine “cultura digitale” assume un significato particolare e, purtroppo, spesso connotato da un retrogusto amaro.

Il forte ritardo nella trasformazione digitale non è certo una notizia, come testimoniano anche gli stimoli proposti in questo senso dallo stesso Ministero per i beni e le attività culturali e turismo (MiBACT), le riflessioni per chi opera nel settore possono (e devono) muoversi anche su altre prospettive.

Prima tra tutte la resistenza alla tentazione di affrontare il ritardo attraverso “terapie shock” che rischiano di tradursi in semplici operazioni di cosmesi, mettendo in campo progetti “a effetto” con scarsi (o scarsissimi) effetti sul piano qualitativo a livello dell’offerta di servizi e di gestione del patrimonio culturale.

Q. Quali saranno le criticità presenti nel 2020 in ambito cultura digitale?

A. 1) La pianificazione prima di tutto. I dati che emergono dalle più recenti indagini effettuate in Italia confermano quello che, troppo spesso, viene ormai introiettato come uno status quo immodificabile.

Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, che ha recentemente sfornato un corposo report intitolato “L’innovazione digitale nei musei italiani nel 2019”, soltanto il 24% degli enti museali nel nostro paese ha predisposto un piano strategico formalizzato per l’investimento in digitale.

Il dato, accompagnato da una impietosa istantanea che fotografa l’assenza di processi di digitalizzazione nel settore, non lascia sperare bene per il futuro.

Anche perché, prima di poter mettere in campo una vera pianificazione, occorre chiarire su quali binari questa si debba muovere.

2) Abbattere le barriere tra le competenze. Nello scenario attuale, in cui la digitalizzazione attraversa ormai ogni aspetto della vita delle persone, la distinzione tra competenze digitali e competenze professionali ha fatto il suo tempo.

Se il ricorso a figure professionali dedicate rimane indispensabile in alcuni settori, come la progettazione e creazione di siti Web o lo sviluppo di applicazioni, esiste un’enorme “area grigia” in cui le competenze si intersecano.

L’ambito della comunicazione e dei social network ne è l’esempio perfetto. Il ricorso a “specialisti” come i social media manager, nell’ambito della cultura, si scontra infatti con la prioritaria necessità di mantenere un adeguato livello qualitativo dei contenuti, che solo gli addetti ai lavori possono garantire.

La soluzione ideale, almeno a livello teorico, è quindi quella di poter contare su figure che siano in grado di accorpare entrambe le competenze.

Un obiettivo che può apparire irraggiungibile, ma che può essere assunto come orizzonte per indirizzare l’attività del settore verso una digitalizzazione realmente efficace.

Q. Quali le possibili soluzioni per una corretta ed efficace digitalizzazione?

A. Oggi siamo in un momento di una profonda trasformazione sociale, economica e culturale in cui l’uso del digitale ha un impatto enorme. Se parlare di trasformazione digitale del patrimonio culturale, vuol dire applicare un cambiamento generale dell’intera società, sarebbe controproducente non riuscire a vincere questa sfida.

Dal mio punto di vista per avviare una corretta trasformazione è necessario riflettere su quattro aree di intervento:

  • Consapevolezza e sensibilizzazione di voler operare una trasformazione digitale con la creazione di piano programmatico di digitalizzazione dell’intero mondo del Beni culturali italiani;
  • Tutti gli stakeholder coinvolti dovrebbero trainare il cambiamento senza un coinvolgimento forzato, ma graduale e appassionante;
  • Formazione specifica per coloro che dovranno essere i protagonisti del cambiamento;
  • Supporto di figure professionali con capacità conoscitive sia del mondo culturale che del digitale e con capacità professionali in grado di affrontare “crisi” che possono nascere durante la trasformazione digitale;

Q. Quanto è importante nella cultura digitale la formazione? E la contaminazione?

A. Nello scenario attuale, la “formazione digitale” di chi opera nel settore culturale è facilitata dalla sempre maggiore diffusione di strumenti tecnologici e da un processo che ha semplificato enormemente l’accesso a forme di comunicazione, una volta riservate ai soli specialisti.

La condizione indispensabile perché questo processo si inneschi, però, è che si prosegua con decisione verso quell’equilibrio nel rinnovamento di chi opera nel settore, più volte auspicato dallo stesso Ministro dei Beni Culturali e che, da solo, può portare a un vero cambio di marcia nel percorso.

Magari abbandonando la logica della rottamazione per abbracciare l’idea per cui introdurre aria fresca tra le fila di chi si occupa di cultura può aprire a una più “gentile” (e fruttuosa) contaminazione a livello di competenze.

Insomma: se la necessità di investire in una rivoluzione digitale nel settore della cultura non si mette in discussione, è quanto mai necessario smettere di concentrarsi sul “quanto” e cominciare a chiarirsi le idee sul “come” lo si debba fare.

Fonte: Spremute Digitali  del 13 Gennaio 2020

 

 

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